venerdì 5 dicembre 2014

IL VIAGGIO






"Il mondo è un libro. Chi non viaggia ne legge una pagina soltanto."
(Sant'Agostino)
Ciascun individuo nasce in uno spazio e in un tempo precisi, e per tutta la vita è portato a credere che la specificità del suo piccolo mondo sia la realtà del mondo intero. Non è così, naturalmente, e per fortuna oggi, con la facilità degli spostamenti e delle comunicazioni, risulta più facile rendersene conto. Tuttavia, se è mutata la possibilità di conoscere altri luoghi, non altrettanto si può dire dell'effettiva volontà di comprendere ciò che è "diverso" dai propri schemi. Anche il viaggiatore, spesso, non fa che portare con sé la propria interpretazione della vita e le proprie abitudini, senza la disponibilità a mettersi in gioco, per il semplice desiderio di conoscere - e magari anche capire - altre visioni e possibilità  di esprimere il proprio stare  nel mondo.

Qual è, dunque, il motivo per cui si viaggia? È semplicemente un modo per occupare il tempo libero, per aggiungere una tacca - un'etichetta - alla Samsonite ultimo modello, per raccontare agli amici avventure improbabili, o forse invece il sistema più intelligente - e sperimentale - per vedere di persona, conoscere e comprendere?
Il viaggio, fin dai tempi più antichi, ha sempre rappresentato la spinta dell'uomo verso il nuovo, un arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze che ogni "viaggiatore" interpretava secondo le proprie aspirazioni: pensiamo ai viaggi di Platone, Pitagora in Egitto, di Marco Polo sino ai confini della terra verso Oriente; fino ad arrivare ai grandi viaggiatori, dal Cinquecento in avanti - navigatori, mercanti, predicatori, artisti, studiosi, anticonformisti in fuga da mondi troppo stretti.

C'è un'intera letteratura dedicata al viaggio, e non crediamo di esagerare affermando che molti balzi in avanti del sapere umano sono debitori degli scambi avvenuti tra popoli e paesi lontani e diversi. E tutto questo, quando viaggiare era davvero un'avventura, e anche solo spostarsi di qualche centinaio di chilometri, comportava la decisione di dedicare mesi - o anche diversi anni - della propria vita, solo a quello. Poi, nell'ultimo secolo, con la disponibilità di mezzi di trasporto più efficienti, veloci e a basso costo, è nato un modo nuovo di spostarsi, tanto da dover coniare un termine ad hoc per definirlo: il "turismo". Da una scelta di vita, da un atto che richiedeva passione e sacrificio, si è disinvoltamente passati ad interpretare il viaggio come "consumo", riducendo progressivamente tutte le difficoltà che un viaggiatore incontra sul percorso, fino a offrire pacchetti "all inclusive", in cui l'unica preoccupazione per l'utente è quella di riuscire a seguire un tizio con una bandierina in mano, o un buffo cappello.

Siamo naturalmente più che entusiasti della possibilità che oggi è data a chiunque di viaggiare in ogni luogo del mondo, ma ci resta la perplessità sul "modo", vista la facilità con cui molti pretendono di aver "capito" - per esempio - la Francia, dopo un "week end" a Parigi, vissuto tra charter e autobus a rotta di collo, comprensivo di visita al Louvre e a quei dieci monumenti da cartolina, al seguito del solito tizio che fa strada sbandierando un ombrellino.

Il viaggio è un'altra cosa. È innanzitutto una "disponibilità", frutto della sincera intenzione a vedere e comprendere: è l'aprirsi ad una possibilità, l'essere pronti a mettere in discussione certezze e visioni della vita, irrigidite da schemi e abitudini, riconoscersi cittadini di un mondo più grande ed essere disposti ad imparare, condividere e scambiare.
Tutto questo non può avvenire in poco tempo, né in contesti protetti, studiati proprio per non farci vivere il disagio della "diversità". Il tempo del viaggio è simile al tempo della vita: ha bisogno di uno spazio abbastanza ampio per esprimere qualcosa che valga la pena di essere fatto proprio.

Nell'Odissea di Omero il viaggio di Ulisse è un viaggio di ritorno dalla guerra ad Itaca. Ma leggendo attentamente la vicenda di Ulisse, si nota che il viaggio non può consistere solo nell'approdo al porto finale, ma piuttosto nel superamento di mille pericoli, ostacoli, prove e nella verifica delle esperienze. Porsi di fronte a "luoghi" sconosciuti facendoli nostri (confrontandoli, cioè, con ciò che noi conosciamo) ci permette di ri-conoscerci e di rivedere noi stessi alla luce di nuove scoperte.

Se la parola simbolon implicava in origine una connessione che si stabilisce tra due oggetti, il viaggio in quanto ponte è propriamente simbolo.
E' difficile, per non dire impossibile, precisare l'istante in cui comincia effettivamente il viaggio di un uomo attraverso la vita e stabilire da quando egli vi prende parte consapevolmente.

Sembrerà banale ma il primo elemento perché un viaggio abbia luogo è il soggetto stesso, perché non tutti coloro che sono per via stanno compiendo un viaggio, discriminante è l'atteggiamento soggettivo con cui si interpreta il viaggio, la vita.
E' l'orientamento della coscienza nei confronti delle esperienze a condizionare la possibilità che un viaggio accada, perché il "viaggiatore" non è colui che resta attaccato alla sua terra, il viaggiatore è un uomo che si risolve nel movimento continuo, nello sforzo ininterrotto di liberarsi da ogni legame interiore ed esteriore, trovando la propria stabilità nella continua trasformazione, affrontando l'esperienza della perdita della sovrana identità, della perdita della tranquillità e deN'autocompiacimento. Siamo viaggiatori non solo rispetto ai territori ma anche alle appartenenze culturali, alle identità, alle stagioni/età della vita. Nel percorso personale ed individuale di crescita, sviluppo, evoluzione e formazione abbiamo imparato nel tempo a sperimentare i temi, i problemi legati all'Infanzia, le difficoltà dell'adolescenza, l'avventura, le novità, la progettualità dell'età giovanile, le memorie, le riflessioni dell'età adulta.

Quindi siamo viaggiatori in transizione, rispetto ai tempi, ai territori, alle emozioni, ai contenuti, ai concetti e pensieri della nostra vita, dei progetti premeditati relativi al futuro ed alla riflessione rispetto alla reale e mutata immagine di noi stessi nell'attualità del presente.

Siamo viaggiatori rispetto allo spazio perché serbiamo in memoria territori e luoghi dell'infanzia remota di nostre profonde ed intime radici affettive, amicali, segnate dalle nostalgie, dal desiderio di ritorno e di appartenenza ad un luogo, teatro del vissuto.
Siamo viaggiatori rispetto alle nostre identità, attraversando spazi di vita diversi, nell'ambito degli affetti, delle professioni, dei vari luoghi teatro dell'esistenza in cui le differenti circostanze richiedono di essere attori proteiformi, diversi, transitori, ciclici, ricorsivi, in scomode e continue metamorfosi, transizioni, traslazioni, usando linguaggi, modi di essere e comunicare differenti, mimetici, caleidoscopici, attuando così plurime forme di erranza, di trasmigrazione nel quotidiano. Il viaggio è un percorso all'interno delle proprie abitudini e dei propri pregiudizi; è la speranza - e la scoperta meravigliata - che esistono mille altri modi di mangiare quel cibo, di costruire la casa in cui vivere, di concepire la vita con gli altri, di godere una giornata di sole. Solo così, crediamo, si potrà a poco a poco sentirsi a casa dovunque, parlare ad ogni uomo come ad un amico, superando con la vita vissuta la ristrettezza mentale che ci fa sentire unici e "più furbi" di tutti. Solo così si vincerà la paura del "diverso" che, in ultima analisi, potrebbe essere il timore inconscio di scoprire che il nostro non è forse il modo migliore di vivere, e magari - sotto sotto - ci siamo persi qualcosa, e abbiamo sprecato tempo prezioso
Viaggiare è scoperta, stupore, meraviglia, illusione rispetto all'altro, al diverso, per questo comporta fatica, difficoltà, incomprensione, conflitto.

E' incontro con altre dimensioni culturali, altri luoghi, differenti territori e paesi, è smarrimento, abbandono, dimenticanza, oblio di riferimenti, appartenenze, sperimentazione e riscoperta di nuovi sentimenti, emozioni, stati d'animo. Quando incontriamo le "affinità", l'esatto contrario delle "diversità", quando amiamo e accettiamo coloro che ci somigliano, che ci sono affini, siamo confermati nei nostri assunti, nelle nostre categorie di pensiero, matrici culturali di senso, di riferimento, di valori nella condotta nel comportamento etico, in asserzioni e stereotipi, che vengono confermati e resi più sicuri, stabili, corroborati e suffragati da certezze. Ma questo atteggiamento passivo, statico può significare e comportare immobilità, chiusura, preclusione, evitando di intraprendere la strada del cambiamento, della scoperta, dell'apprendimento attraverso la relazione, nell' "avventurarsi altrove", nel "ricercare oltre". Tornando a rileggere la personale biografia ci si accorgerà che l'apprendimento avviene solo nell'incontro con la differenza, l'ostacolo, la promiscuità, la discrepanza, l'altro e gli altri da sé perché le affinità confermano, appagano, giustificano, accolgono, mentre le diversità scompigliano, modificano, smentiscono, infastidiscono, disapprovano, negano, rifiutano, sconfessano, mettono in crisi i nostri assunti, le categorie di pensiero, le certezze precostituite, permettendo di intraprendere percorsi nuovi di senso e significato dell'esistere. L'incontro, il confronto con la diversità attraverso il viaggio, significa apertura verso il nuovo, sviluppo del pensiero, evoluzione nelle formulazioni concettuali, nel relazionarsi con se stessi e con il mondo, eliminando le incomprensioni.
E' la messa in discussione della coscienza e non solo la coscienza del poter mettere in discussione. Viaggiando i propri usi e costumi si confrontano, si contaminano, si compenetrano con gli altri e se morale vuol dire costume ecco che si profila all'orizzonte la fine delle nostre etiche fondate sulla nozione di proprietà, confine, nazione. La differenza sarà il terreno su cui far crescere le decisioni etiche, tenendo conto della differenza delle esperienze, cercando il centro non nella rete delle leggi del territorio, ma in quei due poli che Kant indicava nell'anima e nel cielo stellato che per ogni viaggiatore hanno sempre costituito gli estremi dell'arco in cui si esprime la sua vita in tensione. L'accezione del termine "differenza" (dal latino dif-fero, disseminare, scombussolare, spargere) implica l'idea della pluralità, pluriverso olistico globale ed oonnicomprensivo del concetto più circoscritto di "diversità" (dal latino diverto, diversus, contrario, opposto a, differente da).
Il territorio multiculturale, potenzialmente interculturale, che vede l'avvicendarsi degli spostamenti, migrazioni di interi popoli, che mette a confronto differenti diversità, meticciamenti, etnie, promiscuità e difficoltà aspiranti all'integrazione, all'accettazione, accoglienza e condivisione dell'altrui differenza, non per sconfiggerla, annientarla, ghettizzarla, deturparla, omologarla, in piatte, avvilenti, discriminatorie standardizzazioni, ma per riconoscerla e rispettarla, nella valorizzazione, arricchimento e accrescimento reciproci, è il teatro della fiumana degli eventi, in cui ognuno agisce come attore consapevole del proprio sé, nella costruzione dell'immenso mosaico della storia e dell'esistenza nel corso ricorsivo, ciclico, proteiforme dell'evoluzione dei tempi, del relazionarsi degli eventi.
Solo riappropriandoci come società multietnica, aperta alle frontiere, ai confini europei, di una ormai confusa identità ottenebrata e degradata dal consumismo esasperato, dal livellamento culturale delle coscienze, solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della propria storia di vita e di formazione, sarà possibile recuperare i valori significanti di confronto e arricchimento culturale ed interetnico vicendevole, nell'ambito di pluralità d'identità interagenti all'interno del tessuto sociale, mediante l'interscambio, accoglienza ed accettazione, non falsamente ed ipocritamente tollerante del "diverso", dell'"altro da sé", dell'immigrato, straniero, portatore di novità, di cambiamento, nella certa e riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato storico, collettivo e individuale, soggettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali ultime, cardine dell'uomo e della memoria dei tempi: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Così il prossimo sarà sempre meno " l'altro" e sempre più specchio di noi stessi, permettendoci di trovare la nostra UMANITÀ'.

Ma....allora....dovunque decidiamo di andare ci siamo già.....per il solo fatto di essere vivi, dobbiamo solo renderci conto che, ci piaccia o no, stiamo percorrendo un cammino, il cammino della vita, e alla fine troveremo noi stessi.

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