"Il mondo è un libro. Chi non viaggia ne legge una pagina soltanto."
(Sant'Agostino)
Ciascun
individuo nasce in uno spazio e in un tempo precisi, e per tutta la vita è
portato a credere che la specificità del suo piccolo mondo sia la realtà del
mondo intero. Non è così, naturalmente, e per fortuna oggi, con la facilità
degli spostamenti e delle comunicazioni, risulta più facile rendersene
conto. Tuttavia, se è mutata la possibilità di conoscere altri luoghi, non
altrettanto si può dire dell'effettiva volontà di comprendere ciò che è
"diverso" dai propri schemi. Anche il viaggiatore, spesso, non fa che
portare con sé la propria interpretazione della vita e le proprie abitudini,
senza la disponibilità a mettersi in gioco, per il semplice desiderio di
conoscere - e magari anche capire - altre visioni e possibilità di esprimere il proprio stare nel mondo.
Qual è, dunque, il motivo per cui si viaggia? È semplicemente un modo
per occupare il tempo libero, per aggiungere una tacca - un'etichetta - alla
Samsonite ultimo modello, per raccontare agli amici avventure improbabili, o
forse invece il sistema più intelligente - e sperimentale - per vedere di
persona, conoscere e comprendere?
Il viaggio, fin dai tempi più antichi, ha sempre rappresentato la
spinta dell'uomo verso il nuovo, un arricchimento del proprio bagaglio di
conoscenze che ogni "viaggiatore" interpretava secondo le proprie
aspirazioni: pensiamo ai viaggi di Platone, Pitagora in Egitto, di Marco Polo sino ai confini della terra verso Oriente; fino ad arrivare ai
grandi viaggiatori, dal Cinquecento in avanti - navigatori, mercanti,
predicatori, artisti, studiosi, anticonformisti in fuga da mondi troppo
stretti.
C'è un'intera letteratura dedicata al viaggio, e non crediamo di
esagerare affermando che molti balzi in avanti del sapere umano sono debitori
degli scambi avvenuti tra popoli e paesi lontani e diversi. E tutto questo,
quando viaggiare era davvero un'avventura, e anche solo spostarsi di qualche
centinaio di chilometri, comportava la decisione di dedicare mesi - o anche
diversi anni - della propria vita, solo a quello. Poi, nell'ultimo secolo, con
la disponibilità di mezzi di trasporto più efficienti, veloci e a basso costo,
è nato un modo nuovo di spostarsi, tanto da dover coniare un termine ad hoc per
definirlo: il "turismo". Da una scelta di vita, da un atto che
richiedeva passione e sacrificio, si è disinvoltamente passati ad interpretare
il viaggio come "consumo", riducendo progressivamente tutte le difficoltà
che un viaggiatore incontra sul percorso, fino a offrire pacchetti "all
inclusive", in cui l'unica preoccupazione per l'utente è quella di
riuscire a seguire un tizio con una bandierina in mano, o un buffo cappello.
Siamo naturalmente più che entusiasti della possibilità che oggi è
data a chiunque di viaggiare in ogni luogo del mondo, ma ci resta la
perplessità sul "modo", vista la facilità con cui molti pretendono di
aver "capito" - per esempio - la Francia, dopo un "week
end" a Parigi, vissuto tra charter e autobus a rotta di collo, comprensivo
di visita al Louvre e a quei dieci monumenti da cartolina, al seguito del
solito tizio che fa strada sbandierando un ombrellino.
Il
viaggio è un'altra cosa. È innanzitutto una "disponibilità", frutto
della sincera intenzione a vedere e comprendere: è l'aprirsi ad una
possibilità, l'essere pronti a mettere in discussione certezze e visioni della
vita, irrigidite da schemi e abitudini, riconoscersi cittadini di un mondo più
grande ed essere disposti ad imparare, condividere e scambiare.
Tutto
questo non può avvenire in poco tempo, né in contesti protetti, studiati
proprio per non farci vivere il disagio della "diversità". Il tempo
del viaggio è simile al tempo della vita: ha bisogno di uno spazio abbastanza ampio
per esprimere qualcosa che valga la pena di essere fatto proprio.
Nell'Odissea
di Omero il viaggio di Ulisse è un viaggio di ritorno dalla guerra ad Itaca. Ma
leggendo attentamente la vicenda di Ulisse, si nota che il viaggio non può
consistere solo nell'approdo al porto finale, ma piuttosto nel superamento di
mille pericoli, ostacoli, prove e nella verifica delle esperienze. Porsi di
fronte a "luoghi" sconosciuti facendoli nostri (confrontandoli, cioè,
con ciò che noi conosciamo) ci permette di ri-conoscerci e di rivedere noi
stessi alla luce di nuove scoperte.
Se la parola simbolon implicava in origine una connessione che si
stabilisce tra due oggetti, il viaggio in quanto ponte è propriamente simbolo.
E' difficile, per non dire impossibile, precisare l'istante in cui
comincia effettivamente il viaggio di un uomo attraverso la vita e stabilire da
quando egli vi prende parte consapevolmente.
Sembrerà banale ma il primo elemento perché un viaggio abbia luogo è
il soggetto stesso, perché non tutti coloro che sono per via stanno compiendo
un viaggio, discriminante è l'atteggiamento soggettivo con cui si interpreta il
viaggio, la vita.
E' l'orientamento della coscienza nei confronti delle esperienze a
condizionare la possibilità che un viaggio accada, perché il
"viaggiatore" non è colui che resta attaccato alla sua terra, il
viaggiatore è un uomo che si risolve nel movimento continuo, nello sforzo
ininterrotto di liberarsi da ogni legame interiore ed esteriore, trovando la
propria stabilità nella continua trasformazione, affrontando l'esperienza della
perdita della sovrana identità, della perdita della tranquillità e
deN'autocompiacimento. Siamo viaggiatori non solo rispetto ai territori ma
anche alle appartenenze culturali, alle identità, alle stagioni/età della vita.
Nel percorso personale ed individuale di crescita, sviluppo, evoluzione e
formazione abbiamo imparato nel tempo a sperimentare i temi, i problemi legati
all'Infanzia, le difficoltà dell'adolescenza, l'avventura, le novità, la
progettualità dell'età giovanile, le memorie, le riflessioni dell'età adulta.
Quindi siamo viaggiatori in transizione, rispetto ai tempi, ai territori, alle emozioni, ai contenuti, ai concetti e pensieri della nostra vita, dei progetti premeditati relativi al futuro ed alla riflessione rispetto alla reale e mutata immagine di noi stessi nell'attualità del presente.
Quindi siamo viaggiatori in transizione, rispetto ai tempi, ai territori, alle emozioni, ai contenuti, ai concetti e pensieri della nostra vita, dei progetti premeditati relativi al futuro ed alla riflessione rispetto alla reale e mutata immagine di noi stessi nell'attualità del presente.
Siamo viaggiatori rispetto allo spazio perché serbiamo in memoria
territori e luoghi dell'infanzia remota di nostre profonde ed intime radici
affettive, amicali, segnate dalle nostalgie, dal desiderio di ritorno e di
appartenenza ad un luogo, teatro del vissuto.
Siamo viaggiatori rispetto alle nostre identità, attraversando spazi
di vita diversi, nell'ambito degli affetti, delle professioni, dei vari luoghi
teatro dell'esistenza in cui le differenti circostanze richiedono di essere
attori proteiformi, diversi, transitori, ciclici, ricorsivi, in scomode e
continue metamorfosi, transizioni, traslazioni, usando linguaggi, modi di
essere e comunicare differenti, mimetici, caleidoscopici, attuando così plurime
forme di erranza, di trasmigrazione nel quotidiano. Il viaggio è un percorso
all'interno delle proprie abitudini e dei propri pregiudizi; è la speranza - e
la scoperta meravigliata - che esistono mille altri modi di mangiare quel cibo,
di costruire la casa in cui vivere, di concepire la vita con gli altri, di
godere una giornata di sole. Solo così, crediamo, si potrà a poco a poco
sentirsi a casa dovunque, parlare ad ogni uomo come ad un amico, superando con
la vita vissuta la ristrettezza mentale che ci fa sentire unici e "più
furbi" di tutti. Solo così si vincerà la paura del "diverso"
che, in ultima analisi, potrebbe essere il timore inconscio di scoprire che il
nostro non è forse il modo migliore di vivere, e magari - sotto sotto - ci
siamo persi qualcosa, e abbiamo sprecato tempo prezioso
Viaggiare è scoperta, stupore, meraviglia, illusione rispetto
all'altro, al diverso, per questo comporta fatica, difficoltà, incomprensione,
conflitto.
E' incontro con altre dimensioni culturali, altri luoghi, differenti
territori e paesi, è smarrimento, abbandono, dimenticanza, oblio di
riferimenti, appartenenze, sperimentazione e riscoperta di nuovi sentimenti,
emozioni, stati d'animo. Quando incontriamo le "affinità", l'esatto
contrario delle "diversità", quando amiamo e accettiamo coloro che ci
somigliano, che ci sono affini, siamo confermati nei nostri assunti, nelle
nostre categorie di pensiero, matrici culturali di senso, di riferimento, di
valori nella condotta nel comportamento etico, in asserzioni e stereotipi, che
vengono confermati e resi più sicuri, stabili, corroborati e suffragati da
certezze. Ma questo atteggiamento passivo, statico può significare e comportare
immobilità, chiusura, preclusione, evitando di intraprendere la strada del
cambiamento, della scoperta, dell'apprendimento attraverso la relazione, nell' "avventurarsi altrove", nel "ricercare oltre". Tornando
a rileggere la personale biografia ci si accorgerà che l'apprendimento avviene
solo nell'incontro con la differenza, l'ostacolo, la promiscuità, la
discrepanza, l'altro e gli altri da sé perché le affinità confermano, appagano,
giustificano, accolgono, mentre le diversità scompigliano, modificano,
smentiscono, infastidiscono, disapprovano, negano, rifiutano, sconfessano,
mettono in crisi i nostri assunti, le categorie di pensiero, le certezze
precostituite, permettendo di intraprendere percorsi nuovi di senso e
significato dell'esistere. L'incontro, il confronto con la diversità attraverso
il viaggio, significa apertura verso il nuovo, sviluppo del pensiero,
evoluzione nelle formulazioni concettuali, nel relazionarsi con se stessi e con
il mondo, eliminando le incomprensioni.
E' la messa in discussione della coscienza e non solo la coscienza del
poter mettere in discussione. Viaggiando i propri usi e costumi si confrontano,
si contaminano, si compenetrano con gli altri e se morale vuol dire costume
ecco che si profila all'orizzonte la fine delle nostre etiche fondate sulla
nozione di proprietà, confine, nazione. La differenza sarà il terreno su cui
far crescere le decisioni etiche, tenendo conto della differenza delle
esperienze, cercando il centro non nella rete delle leggi del territorio, ma in
quei due poli che Kant indicava nell'anima e nel cielo stellato che per ogni
viaggiatore hanno sempre costituito gli estremi dell'arco in cui si esprime la
sua vita in tensione. L'accezione del termine "differenza" (dal
latino dif-fero, disseminare, scombussolare, spargere) implica l'idea della
pluralità, pluriverso olistico globale ed oonnicomprensivo del concetto più
circoscritto di "diversità" (dal latino diverto, diversus, contrario,
opposto a, differente da).
Il territorio multiculturale, potenzialmente interculturale, che vede
l'avvicendarsi degli spostamenti, migrazioni di interi popoli, che mette a
confronto differenti diversità, meticciamenti, etnie, promiscuità e difficoltà
aspiranti all'integrazione, all'accettazione, accoglienza e condivisione
dell'altrui differenza, non per sconfiggerla, annientarla, ghettizzarla,
deturparla, omologarla, in piatte, avvilenti, discriminatorie
standardizzazioni, ma per riconoscerla e rispettarla, nella valorizzazione,
arricchimento e accrescimento reciproci, è il teatro della fiumana degli
eventi, in cui ognuno agisce come attore consapevole del proprio sé, nella
costruzione dell'immenso mosaico della storia e dell'esistenza nel corso
ricorsivo, ciclico, proteiforme dell'evoluzione dei tempi, del relazionarsi
degli eventi.
Solo riappropriandoci come società multietnica, aperta alle frontiere,
ai confini europei, di una ormai confusa identità ottenebrata e degradata dal
consumismo esasperato, dal livellamento culturale delle coscienze, solo
diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della propria storia
di vita e di formazione, sarà possibile recuperare i valori significanti di
confronto e arricchimento culturale ed interetnico vicendevole, nell'ambito di
pluralità d'identità interagenti all'interno del tessuto sociale, mediante
l'interscambio, accoglienza ed accettazione, non falsamente ed ipocritamente
tollerante del "diverso", dell'"altro da sé",
dell'immigrato, straniero, portatore di novità, di cambiamento, nella certa e
riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato
storico, collettivo e individuale, soggettivo, volta a rispondere alle domande
esistenziali ultime, cardine dell'uomo e della memoria dei tempi: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Così il prossimo sarà sempre meno " l'altro" e sempre più
specchio di noi stessi, permettendoci di trovare la nostra UMANITÀ'.
Ma....allora....dovunque decidiamo di andare
ci siamo già.....per
il solo fatto
di essere vivi, dobbiamo solo renderci conto che, ci piaccia o no, stiamo
percorrendo un cammino, il cammino della vita, e alla fine troveremo noi
stessi.
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